mercoledì 2 marzo 2016

Non solo mindfulness. Come ridimensionare i pensieri negativi prima di lasciarli andare

A volte i nostri pensieri negativi gravano come una nuvola sulla nostra testa e ci fanno vivere il maltempo anche quando di fatto c'è il sereno.
Immaginiamo di avere finalmente pubblicato il nostro primo sudatissimo libro e che, mentre tutti si complimentano con noi, il nostro pensiero corra continuamente ad un certo minuscolo errore che abbiamo scoperto dopo la stampa. La mente ci sussurra che quell'errore ha rovinato tutta l'opera e ci ripete che è davvero imperdonabile. La nuvola nera riesce così a guastarci la festa; poteva essere il nostro momento di gioia e invece proviamo senso di colpa, rimpianto e paura di essere scoperti.
In realtà, che ce ne accorgiamo o meno, noi siamo continuamente in compagnia di qualche pensiero. Pensieri leggeri, pensieri pesanti, pensieri estenuanti.
Può addirittura capitare, alla fine di una giornata, di sentirci esausti non tanto per le cose che abbiamo realmente fatto o che ci sono capitate, ma per il peso dei pensieri difficili che ci hanno accompagnato tutto il giorno, e che hanno influenzato la nostra lettura della realtà, aggiungendo alla nostra vita una quota di sofferenza tutta mentale,  che magari potevamo risparmiarci.
Quando facciamo le pratiche di mindfulness, noi ci alleniamo continuamente a riconoscere la presenza dei nostri pensieri e a trattarli come tali. Sono eventi mentali, non sono la verità. Di solito, nella vita ordinaria tendono a sembrarci la verità, perché ci sentiamo un tutt'uno con essi (ci identifichiamo con i nostri pensieri), ma un po' alla volta la distinzione tra la realtà ed il nostro pensiero circa la realtà ci diventa sempre più chiara. Nelle pratiche formali di mindfulness, fa proprio parte dell'esercizio riconoscere i pensieri come pensieri e imparare a lasciarli andare. E così anche nelle pratiche informali (cioè negli esercizi di mindfulness che facciamo durante alcuni momenti di vita ordinaria). Accade così che, un po' alla volta, questa consapevolezza trabocchi naturalmente dai momenti di pratica intenzionale ad altri momenti della nostra giornata, rendendoci via via sempre meno vulnerabili rispetto ai pensieri negativi. Questo non significa che i pensieri bui non arriveranno mai più, significa solo che noi li riconosceremo più facilmente e li governeremo sempre meglio, imparando ad impedire loro di annebbiarci la vista, toglierci il gusto della vita e  pilotare le nostre scelte.
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Al di là dell'aiuto che possiamo trarre dalle pratiche di consapevolezza, a volte possiamo sentire il bisogno di prendere proprio di petto un pensiero negativo, affrontarlo per quello che è (solo un pensiero) e ridimensionarlo quanto basta per renderlo meno pesante e meno difficile da lasciar andare.
Vi propongo per questo una tecnica in cinque passi, che personalmente considero molto efficace.
Si chiama "quattro domande e un capovolgimento".
E' un lavoro da fare per iscritto.  Prendete quindi carta e penna, e per prima cosa individuate il vostro pensiero difficile.
Fatto ciò, rispondete per iscritto a queste domande nell'ordine in cui sono poste:
1) questo pensiero corrisponde alla verità?
2) sono proprio sicuro che corrisponda alla verità? (ne ho le prove?)
3) come mi fa sentire questo pensiero?
4) come mi sentirei se non avessi questo pensiero?
Dopo aver risposto alle domande, prendete il vostro pensiero e capovolgetelo. Formulate cioè una frase di contenuto opposto al vostro pensiero e quindi dimostrate (sempre per iscritto) che la nuova frase è vera per cinque ragioni (o anche di più, se ne trovate).
Il nostro scrittore, per esempio, può prendere il pensiero: "L'errore a pagina 158 ha rovinato tutta l'opera" e cominciare a chiedersi se questa affermazione corrisponda a verità. Probabilmente la prima risposta sarà "sì, corrisponde a verità".
Alla seconda domanda (sono proprio sicuro che corrisponda alla verità? ne ho le prove?), potrebbe rispondere che in effetti quel pensiero è più che altro una sua idea, ma non può dirsi proprio sicuro che corrisponda a verità. (Volendo, potrebbe anche impuntarsi e continuare a insistere  che il suo pensiero corrisponde a verità: libero di farlo.)
Alla terza domanda (come mi fa sentire questo pensiero?), risponderà probabilmente che gli fa provare senso di colpa per aver sbagliato, rimpianto per essersene accorto tardi e paura per la possibilità di essere scoperto e svergognato.
Alla quarta domanda (come mi sentirei se non avessi questo pensiero?), il nostro scrittore tirerà finalmente un sospiro di sollievo, e forse risponderà: "Mi sentirei leggero e pieno di gioia e soddisfazione per aver pubblicato il mio libro".
A questo punto dovrà capovolgere il pensiero nel suo opposto, scrivendo per esempio la frase: "L'errore a pagina 158 non ha rovinato tutta l'opera" (o, in positivo, che è preferibile: "L'errore a pagina 158 lascia integra l'opera nel suo valore")  e dimostrare quindi che questa frase corrisponde a verità per cinque buone ragioni.
Per esempio:
1) la trama del romanzo è bella, e resta tale;
2) i dialoghi sono originali, e restano tali;
3) la prosa è scorrevole, e resta tale;
4) i personaggi sono ben costruiti, e restano tali;
5) il finale è buono, e resta tale.
E questo è tutto.
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Mentre mi accingo a concludere questo post, mi viene improvvisamente in mente un pensiero inaspettato: è una strana scenetta.
Sono nella libreria da cui mi servo abitualmente e chiedo al commesso: "Per cortesia, vuole consigliarmi un bel libro?"
Lui ne prende uno da sopra al banco e mi dice imbarazzato: "Beh, ci sarebbe questo che ha una bella trama, dialoghi originali, prosa scorrevole, personaggi ben costruiti e anche un buon finale. Solo che..."
"Solo che?..."
"Solo che c'è un errore a pagina 158... Lo prende lo stesso?"
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