domenica 22 febbraio 2015

Da Antologia di Spoon River: George Gray.



Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l'amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l'ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell'inquietudine e del vano desiderio —
una barca che anela al mare eppure lo teme.


Edgar Lee Master



giovedì 19 febbraio 2015

I sospiri delle donne. Un pensiero di Sarah Ban Breathnach


"Le donne sospirano per non urlare. Ci sono diverse occasioni, nell'arco della giornata, in cui urlare è la reazione più appropriata. Tuttavia, da queste parti urlare è considerato sconveniente.
Così sospiriamo.
Prima inspiriamo, velocemente, bruscamente, inalando la realtà, riconoscendo l'attuale situazione - la seccatura o la delusione del momento, il confronto o la sfida, la lunga attesa o la mancanza di cooperazione.
Tratteniamo un istante il respiro.
Poi espiriamo, lentamente, profondamente, emettendo e lasciando andare la nostra reazione iniziale - lo sgomento, l'impazienza, il fastidio, la delusione, il rimorso. Buttandola fuori. Lasciandola andare.
Il sospiro è un tacito voto di accettazione - "riprendersi" e andare avanti.
Le donne che vivono con una persona significativa e/o con figli sospirano più delle loro sorelle solitarie perché devono affrontare un maggior numero di preferenze, bisogni, desideri, volontà ed esigenze, se vogliono uno stato di distensione nella vita di tutti i giorni. Si piegano di più per non spezzarsi.
Così, se oggi provi il bisogno di sospirare, mi raccomando, respira lentamente e profondamente. Respira espressivamente. Pensa al sospiro come aria calda che ti fa essere all'altezza della situazione.
L'aria calda, se imprigionata, prima o poi esplode, e il vapore può bruciare. Ma il vapore che viene fatto deliberatamente fuoriuscire da una valvola di sicurezza può essere convertito in energia creativa.
Quindi sospira senza esitazione. Sospira senza sensi di colpa. Sospira senza imbarazzo. Sospira con piacere.
Sospirate ancora, signore, sospirate ancora."
(Sarah Ban Breathnach, L'incanto della vita semplice)  


domenica 15 febbraio 2015

Mettere la parola fine a una storia importante


Quando una storia d'amore è stata importante, il suo venir meno è un difficile passaggio, non solo per chi lo subisce e si considera abbandonato, ma anche per chi si assume la responsabilità della decisione di troncare.
La fine di una relazione, a qualunque causa sia dovuta, ci costringe a fare i conti con un vissuto di svuotamento e di perdita di senso.
Essa è assimilabile, per certi versi, ad un'esperienza di morte o di fallimento: ci sono dimensioni di perdita con cui ognuno deve fare i conti, c'è un dolore da attraversare, e ciò a prescindere dal fatto che si sia già avviato o meno un nuovo rapporto.
Ci troviamo inevitabilmente anche a fare bilanci, a mettere in discussione noi stessi, la nostra vita, il modo in cui abbiamo affrontato le circostanze.
Cominciamo a chiederci dove abbiamo sbagliato, di chi è la colpa di come sono andate le cose, quali fattori hanno segnato l'inizio della fine, se potevamo accorgercene per tempo e fare meglio o se meglio di così in realtà davvero non potevamo fare.
Nelle storie che durano, sperimentiamo un senso di sicurezza e di stabilità che ci pone al riparo dalla paura dell'impermanenza e della morte, e cioè in un certo senso dalla paura della vita stessa. Tutto cambia ed è incerto in questo mondo, tutto può finire da un momento all'altro, ma almeno sul nostro rapporto di coppia sappiamo di poter contare.
Così il mito dell'amore eterno apre la strada alla costruzione di altre certezze, a progetti di vita comune fondati sul desiderio di stati permanenti: il matrimonio, l'acquisto di una casa, la creazione di una famiglia. Tutte cose considerate solide, destinate a durare, la cui immagine interiorizzata dentro di noi ci offre appigli precisi che ci consentono di non vacillare sotto il peso di domande come: chi sono? che ne sarà di me? come proteggerò le mie aree vulnerabili dalle minacce dell'esistenza?
Nelle storie che durano barattiamo volentieri questo senso di sicurezza e di stabilità con la tolleranza delle piccole e grandi frustrazioni che l'amore riserva sui tempi lunghi. Impariamo a conoscere l'altro nel bene e nel male, ci abituiamo a convivere con i suoi lati buoni e meno buoni, gli offriamo di rimando il nostro pacchetto completo di vizi e virtù, e traiamo dal rapporto un nutrimento che ci sostiene, anche se non tutte le portate del menu sono di nostro gradimento (meglio questo, pensiamo, che stare digiuni).
La costruzione di questa specie di fortezza protettiva può costituire un freno potente rispetto al cambiamento anche quando diventiamo consapevoli  che nel nostro rapporto sono più le cose che non vanno rispetto a quelle che ci danno gioia, e che del vecchio sentimento che ci legava all'altra persona non sono rimasti che vuoti gesti dettati dall'abitudine.
Decidere di troncare ci metterebbe di fronte all'assunzione di una pesante responsabilità: potremmo commettere un terribile errore e gli scenari delle possibili conseguenze della nostra scelta possono farci molta paura.
Se poi a prendere la decisione è uno solo dei membri della coppia, c'è da fare i conti con il senso di colpa connesso all'assunzione di un ruolo da "distruttore" (del legame di coppia, dei progetti di vita comune, dell'unità del gruppo familiare), che suona un po' come quello del "cattivo" della situazione. Chi prende la decisione infatti sente di attuare bene o male un atto di violenza, un taglio che in varia misura può produrre dolore al partner, ai figli se ci sono, e in fondo anche a se stesso. Fuori del rapporto, infatti, anche chi ha preso la decisione, dovrà fare i conti con una ridefinizione della propria identità e sperimentarsi diverso da prima, in tutti gli ambiti e le situazioni - anche sociali - che fino a quel momento aveva vissuto come membro della coppia.
Ogni relazione importante imprime dentro di noi una traccia indelebile di ciò che abbiamo vissuto, che fa parte della nostra evoluzione psicologica. Anche per questo non è facile gestire il pacchetto emotivo che accompagna la fine di un rapporto significativo.
Quando si sta dentro ad una relazione ancora viva solo nella forma, ma già conclusa nella sostanza, il dubbio se sia meglio troncare o resistere non è di facile soluzione e ci mette di fronte ai limiti del nostro coraggio. Ce la facciamo a reggere l'incertezza che ci aspetta fuori del solco già tracciato? Ce la facciamo a reggere l'idea che potremmo non trovare un altro equilibrio simile a quello che lasciamo? Ce la facciamo a reggere la prospettiva della solitudine? Ce la facciamo a reggere tutti gli strascichi del senso di colpa della distruzione del passato, fino a che la costruzione del nuovo non avrà preso una forma abbastanza soddisfacente da giustificare tutto il terremoto?
Nessuno può decidere per noi. La vita di ciascuno rispecchia il suo modo di essere, il suo stile, i suoi valori, le sue personali attitudini, risorse, limiti. Ogni vita può essere una storia di valore, sia che i suoi eroi abbiano dato prova di capacità di resistenza nelle difficoltà, sia che abbiano dato prova di coraggio nel determinare cambiamenti grandi e difficili.
Un edificio cadente (come un rapporto di coppia che sembra non poter reggere più) tante volte riesce a sopravvivere per anni e anni, mantenendosi misteriosamente in piedi così com'è, senza crollare, e dando comunque un qualche rifugio dalle intemperie a chi lo abita; oppure può restare in vita giovandosi di interventi di consolidamento e restauro, che possono migliorare la situazione, valorizzando ciò che di buono ancora esisteva, anche se a un certo punto non si vedeva più;  o ancora può essere abbattuto del tutto per fare spazio alla costruzione di un edificio completamente nuovo, nella consapevolezza che in questo caso bisognerà investire forze e risorse nell'attuazione dell'intera impresa, e tollerare anche le difficoltà della fase intermedia - quella tra la demolizione dell'edificio  vecchio che non c'è più e la costruzione di quello nuovo che non c'è ancora -  che comporterà momenti di vuoto, di mancanza di riferimenti e appigli, e di resa dei conti rispetto alle nostre reali forze e alla nostra capacità di tollerare la solitudine. Si tratterà infatti  di gestire non solo una solitudine esteriore e oggettiva, ma anche un senso di solitudine interiore, connesso a quel senso di morte che, come si diceva all'inizio, può accompagnare dentro di noi la fine delle nostre relazioni importanti.
«Le risposte della nostra anima a questo complesso intreccio di sentimenti sono sempre individuali - ci ricorda Aldo Carotenuto, nel suo libro Il gioco delle passionie, proprio per questa ragione, non può esistere una formula universale per affrontare serenamente le separazioni.
In ogni caso, però, è fondamentale non pensare mai di "aver solo perso del tempo", e considerare ogni momento trascorso con l'altra persona come un passo importante della nostra evoluzione psicologica.» 



sabato 14 febbraio 2015

Lettera di John Steinbeck al figlio (quattordicenne) innamorato


New York, 10 novembre 1958
«Caro Thom, 
abbiamo ricevuto la tua lettera questa mattina. Ti risponderò dal mio punto di vista e di certo Elaine farà lo stesso.
Primo, se sei innamorato, è una buona cosa, praticamente la miglior cosa che ti possa capitare. Non permettere che nessuno la sottovaluti o sminuisca.
Secondo, ci sono molti tipi di amore. C’è uno egoista, meschino, rapace e cattivo che usa l’amore per darsi importanza. Questo è il tipo di amore più brutto e che rende deboli. L’altro invece è una fuoriuscita di tutte le cose buone che hai dentro di te - di gentilezza, considerazione e rispetto - non solo il rispetto delle buone maniere, ma il rispetto più grande, che è riconoscimento dell’altra persona nella sua unicità e valore. Il primo tipo di amore può farti star male, renderti piccolo e debole ma il secondo può far nascere in te una forza, un coraggio, una bontà e perfino una saggezza che non credevi di avere.
Hai detto che non si tratta di una cotta. Se provi sentimenti così profondi, certamente non è una cotta.
Ma non credo tu mi stessi chiedendo di dirti quello che provi. Lo sai meglio tu di chiunque altro. Quello che mi hai chiesto è di aiutarti a capire cosa fare. E questo, posso dirtelo.
Rallegratene e sii felice e grato.
L’oggetto dell’amore è il migliore e il più bello. Cerca di esserne all’altezza.
Se ami qualcuno, dirlo non può fare alcun male, ti devi soltanto ricordare che certe persone sono timide e quindi nel dirlo dovrai tenerne conto.
Le ragazze sanno come capire e sentire le cose che tu senti, ma di solito preferiscono anche sentirselo dire.
Può succedere che quanto senti non sia ricambiato, per una ragione o per l’altra, ma ciò non renderà i tuoi sentimenti meno veri e belli.
Per finire, so cosa provi perché lo provo anch’io, e sono felice per te.
Ci farà piacere conoscere Susan. Sarà la benvenuta. Ma a questo ci penserà Elaine, perché è il suo terreno e ne sarà felicissima. Anche lei conosce l’amore e forse saprà aiutarti più di me.
E non avere paura di perdere. Se deve succedere, succederà. La cosa più importante è non avere fretta. Le cose belle non scappano via.
Con amore.
Pa».


sabato 7 febbraio 2015

DON CHISCIOTTE, di Francesco Guccini


[ Don Chisciotte ]
Ho letto millanta storie di cavalieri erranti,
di imprese e di vittorie dei giusti sui prepotenti
per starmene ancora chiuso coi miei libri in questa stanza
come un vigliacco ozioso, sordo ad ogni sofferenza.
Nel mondo oggi più di ieri domina l’ingiustizia,
ma di eroici cavalieri non abbiamo più notizia;
proprio per questo, Sancho, c’è bisogno soprattutto
d’uno slancio generoso, fosse anche un sogno matto:
vammi a prendere la sella, che il mio impegno ardimentoso
l’ho promesso alla mia bella, Dulcinea del Toboso,
e a te Sancho io prometto che guadagnerai un castello,
ma un rifiuto non l’accetto, forza sellami il cavallo!
Tu sarai il mio scudiero, la mia ombra confortante
e con questo cuore puro, col mio scudo e Ronzinante,
colpirò con la mia lancia l’ingiustizia giorno e notte,
com’è vero nella Mancha che mi chiamo Don Chisciotte…

[ Sancho Panza ]
Questo folle non sta bene, ha bisogno di un dottore,
contraddirlo non conviene, non è mai di buon umore…
È la più triste figura che sia apparsa sulla Terra,
cavalier senza paura di una solitaria guerra
cominciata per amore di una donna conosciuta
dentro a una locanda a ore dove fa la prostituta,
ma credendo di aver visto una vera principessa,
lui ha voluto ad ogni costo farle quella sua promessa.
E così da giorni abbiamo solo calci nel sedere,
non sappiamo dove siamo, senza pane e senza bere
e questo pazzo scatenato che è il più ingenuo dei bambini
proprio ieri si è stroncato fra le pale dei mulini…
È un testardo, un idealista, troppi sogni ha nel cervello:
io che sono più realista mi accontento di un castello.
Mi farà Governatore e avrò terre in abbondanza,
quant’è vero che anch’io ho un cuore e che mi chiamo Sancho Panza…

[ Don Chisciotte ]
Salta in piedi, Sancho, è tardi, non vorrai dormire ancora,
solo i cinici e i codardi non si svegliano all’aurora:
per i primi è indifferenza e disprezzo dei valori
e per gli altri è riluttanza nei confronti dei doveri !
L’ingiustizia non è il solo male che divora il mondo,
anche l’anima dell’uomo ha toccato spesso il fondo,
ma dobbiamo fare presto perché più che il tempo passa
il nemico si fà d’ombra e s’ingarbuglia la matassa…

[ Sancho Panza ]
A proposito di questo farsi d’ombra delle cose,
l’altro giorno quando ha visto quelle pecore indifese
le ha attaccate come fossero un esercito di Mori,
ma che alla fine ci mordessero oltre i cani anche i pastori
era chiaro come il giorno, non è vero, mio Signore ?
Io sarò un codardo e dormo, ma non sono un traditore,
credo solo in quel che vedo e la realtà per me rimane
il solo metro che possiedo, com’è vero… che ora ho fame !

[ Don Chisciotte ]
Sancho ascoltami, ti prego, sono stato anch’io un realista,
ma ormai oggi me ne frego e, anche se ho una buona vista,
l’apparenza delle cose come vedi non m’inganna,
preferisco le sorprese di quest’anima tiranna
che trasforma coi suoi trucchi la realtà che hai lì davanti,
ma ti apre nuovi occhi e ti accende i sentimenti.
Prima d’oggi mi annoiavo e volevo anche morire,
ma ora sono un uomo nuovo che non teme di soffrire…

[ Sancho Panza ]
Mio Signore, io purtoppo sono un povero ignorante
e del suo discorso astratto ci ho capito poco o niente,
ma anche ammesso che il coraggio mi cancelli la pigrizia,
riusciremo noi da soli a riportare la giustizia ?
In un mondo dove il male è di casa e ha vinto sempre,
dove regna il “capitale”, oggi più spietatamente,
riuscirà con questo brocco e questo inutile scudiero
al “potere” dare scacco e salvare il mondo intero ?

[ Don Chisciotte ]
Mi vuoi dire, caro Sancho, che dovrei tirarmi indietro
perchè il “male” ed il “potere” hanno un aspetto così tetro ?
Dovrei anche rinunciare ad un po’ di dignità,
farmi umile e accettare che sia questa la realtà ?

[ Insieme ]
Il “potere” è l’immondizia della storia degli umani
e, anche se siamo soltanto due romantici rottami,
sputeremo il cuore in faccia all’ingiustizia giorno e notte:
siamo i “Grandi della Mancha”,
Sancho Panza… e Don Chisciotte !




***


lunedì 2 febbraio 2015

Mitologia e Psicologia. 10) La "sacra casalinghitudine": un incontro con Estia

"Riordinare la casa è la mia preghiera, e quando ho finito, la mia preghiera viene esaudita.
 E piegarmi, abbassarmi, strofinare mi purifica il corpo come la preghiera non può fare." 
(Jessamyn West)
***

Estia (per i romani Vesta) era la figlia primogenita di Rea e Crono nonché sorella maggiore di Zeus. Prima tra i fratelli ad essere divorata dal padre alla nascita ed ultima ad esserne rigurgitata, fu l'unica a conoscere la solitudine nel buio delle viscere paterne.
Di lei la mitologia non dice molto, perché non fu mai coinvolta in guerre o in storie d'amore.
Fu desiderata da Poseidone, dio del mare, e da Apollo, dio del sole, ma li rifiutò entrambi giurando di restare vergine per sempre. Zeus allora, in luogo del dono di nozze, le concesse il privilegio di stare al centro della casa e nei templi degli altri dei, come custode del fuoco.
Il suo simbolo era il cerchio e rotondi erano infatti i primi focolari nelle case ed i bracieri al centro dei templi.
Non le si attribuiva un aspetto esteriore caratteristico; la sua presenza in un luogo si avvertiva nella fiamma posta al centro di una casa, di un tempio o di una città, come fonte di luce, tepore e calore per la cottura dei cibi.
La sua importanza veniva celebrata con vari rituali simbolizzati dal fuoco.
Per esempio, se una coppia si sposava, la madre della sposa accendeva una torcia sul focolare della propria casa e la portava nella nuova dimora, per accendere il nuovo focolare. Allo stesso modo, se si fondava una nuova comunità, vi si portava il fuoco proveniente dalla città d'origine.
In tal modo Estia seguiva come fuoco sacro le nuove coppie e le nuove comunità, simbolizzando continuità, interdipendenza, coscienza condivisa e identità comune, che restavano sempre in vita come il fuoco, nonostante i cambiamenti.
Spesso Estia compariva nelle case in compagnia di Ermes (Mercurio), messaggero degli dei, dio della parola, loquace e astuto, protettore di viaggiatori, mercanti e ladri.
Il focolare di Estia stava all'interno della casa, e la rendeva il luogo sacro dove la famiglia si riuniva, il luogo dove fare ritorno a casa.
Il simbolo di Ermes, invece, un pilastro fallico, stava sulla soglia di casa, a portare fertilità e tenere lontano il male, ma anche a proteggere sulla soglia chi partiva e andava nel mondo, dove la capacità di comunicare e orientarsi sono importanti. 
 ***
Ci sono donne per le quali le occupazioni domestiche rappresentano qualcosa di più significativo del semplice sbrigare le faccende, quasi che riordinando la propria casa mettessero ordine anche  dentro di sé.
Quando una donna prova un senso di armonia interiore nello svolgere i lavori domestici, è in contatto con un aspetto di sé ben rappresentato dall'archetipo di Estia, dea del focolare domestico.
La cura della casa, allora, non è più per lei un'incombenza da assolvere sbrigativamente giusto perché le tocca, ma assume i toni di una pratica meditativa, da cui viene totalmente assorbita, in quieta solitudine e senza frenesia.
"Quando Estia è presente", dice Jean Shinoda Bolen nel suo libro Le dee dentro la donna, "la donna si dedica ai lavori della casa con la sensazione di avere davanti a sé tutto il tempo possibile. Non tiene d'occhio l'orologio, perché non si muove sulla base di un orario e non 'inganna il tempo'. Si trova quindi in quello che i greci chiamavano kairos, tempo propizio: 'sta partecipando al tempo', e ciò la nutre psicologicamente (come succede in quasi tutte le esperienze dove perdiamo il senso del tempo). Mentre smista e ripiega la biancheria, rigoverna i piatti e mette in ordine, non ha fretta, ed è pacificamente concentrata in ogni cosa che fa."
Anche se non siamo delle vere 'casalinghe estiane', può capitare a tutte noi di entrare occasionalmente in contatto con le dimensioni rappresentate da questa dea. Quando passiamo una giornata a riordinare un armadio, per esempio, l'attività può assorbirci completamente: dividiamo lentamente i vestiti, riflettiamo su quali conservare, quali mettere via, quali regalare, ricordiamo e prevediamo eventi,  facciamo una cernita non solo delle nostre cose ma anche di ciò che riguarda noi stesse. Alla fine abbiamo un armadio ordinato, che è un po' l'immagine di noi stesse in quel momento, e anche la sensazione di una giornata spesa bene, 'in compagnia della dea', vale a dire di quella nostra parte interiore, silenziosa e concentrata. 
"Cercando deliberatamente di incontrare Hestia nella vita di tutti i giorni, facendoci influenzare nel comportamento dalla sua presenza quieta, calma e ordinata, possiamo arrivare alla consapevolezza che c'è un sacro Mistero nella quotidianità", dice Sarah Ban Breathnach, nel suo libro L'incanto della vita semplice. Ed aggiunge: "Ma come possiamo incontrare Hestia? Qualche volta, girando per casa, invoco il suo aiuto. Oppure mi domando: 'E' così che Hestia affronterebbe questo compito?'. Inutile dire che, se me lo chiedo, significa che non lo affronterebbe così; ma la domanda riporta la mia consapevolezza alla natura contemplativa della cura domestica."
Se Estia non è una presenza stabile dentro di noi ma desideriamo portare un po' della sua grazia nel nostro rapporto con la nostra casa, il primo passo è costituito dall'intenzione di assumere un atteggiamento estiano. "Dopo aver deciso una faccenda," suggerisce la dottoressa Bolen, "occorre darle tutto il tempo necessario. Stirare la biancheria, ad esempio, è un compito ripetitivo e molte donne lo fanno in tutta fretta e di malavoglia. Ma quando adotta la modalità Estia, la donna può accogliere di buon grado l'occasione di riporre gli abiti, come un momento per riposare la mente.
Perché Estia sia presente, occorre che la donna si dedichi a un compito alla volta, a una parte della casa o a una stanza alla volta, a una qualsiasi faccenda che pensi di poter svolgere tranquillamente nel tempo che ha a disposizione. E nell'esecuzione di quell'incombenza deve lasciarsi assorbire, come se stesse eseguendo la cerimonia del tè giapponese, con un senso di serenità in ogni movimento. Solo allora una pace interiore onnipervasiva sostituirà il consueto chiacchiericcio della sua mente. I livelli da raggiungere devono essere quelli che le corrispondono, il modo deve essere in accordo con quanto ha senso per lei."
Curare una casa con questo atteggiamento ne fa quasi un'attività spirituale; del resto il sacro fuoco di Estia ardeva sia sul focolare domestico sia nei templi e riflettere su Estia è anche focalizzare l'attenzione sull'interiorità, sul centro spirituale di una donna.
La percezione di un punto di riferimento interno (di un 'punto fermo' dentro di sé), può consentire a una donna di rimanere salda anche in mezzo al disordine, al caos del mondo esterno, e all'agitazione della vita di tutti i giorni. 
Il focolare di Estia, di forma circolare e con il fuoco al centro, è come un mandala, immagine usata nella meditazione come simbolo di completezza e totalità.
Nel suo scritto Simbolismo dei mandala,  Carl Gustav Jung dice a riguardo che il loro motivo di base "è l'idea di un centro della personalità, di una sorta di punto centrale all'interno dell'anima al quale tutto sia correlato, dal quale tutto sia ordinato e il quale sia al tempo stesso fonte di energia. L'energia del punto centrale si manifesta in una coazione quasi irresistibile, in un impulso a divenire ciò che si è; così come ogni organismo è costretto, quali che siano le circostanze, ad assumere la forma caratteristica della propria natura. Questo centro non è sentito né pensato come Io, ma, se così si può dire, come Sé."
"Il Sé", commenta a sua volta Jean Shinoda Bolen, "è ciò che sperimentiamo internamente quando sentiamo un rapporto di unità che ci collega all'essenza di tutto ciò che è fuori di noi. [...] Quando ci sentiamo in contatto con una fonte interna di calore e di luce (metaforicamente scaldate e illuminate da un fuoco spirituale), questo 'fuoco' scalda coloro che amiamo e con cui condividiamo il focolare e ci tiene in contatto con chi è lontano.
Il sacro fuoco di Estia ardeva nel focolare domestico e nei templi. La dea e il fuoco erano una sola cosa e univano le famiglie l'una all'altra, le città-stato alle colonie. Estia era l'anello di congiunzione spirituale fra tutti loro. Quando questo archetipo  permette la concentrazione sulla spiritualità, l'unione con gli altri è un'espressione del Sé.
[...] La meditazione attiva e rinforza questo archetipo introverso e polarizzato sul mondo interno e, una volta iniziata, spesso diventa una pratica quotidiana, perché dà un senso di completezza e concentrazione, una sorgente interna di pace e di illuminazione, che apre la strada alla dimensione Estia.
Alcune donne, quando avvertono la presenza della dea, sentono emergere la vena poetica. May Sarton, scrittrice e poetessa, dice che le è possibile scrivere soltanto quando si trova in uno stato di grazia, 'quando i canali profondi sono aperti e quando sono profondamente stimolati e in equilibrio - e anch'io lo sono - allora la poesia viene come un dono al di là della mia volontà'. Sta parlando di un'esperienza dell'archetipo del Sé, i cui sentimenti sono  sempre al di là dell'Io e dello sforzo, un dono di grazia."




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