domenica 22 settembre 2013

Tappe di vita e dolori di crescita

Esiste una capacità,  che è importante avere quando si attraversano i passaggi cruciali del ciclo di vita, che è quella di riuscire ad accettare il dolore delle separazioni e dei distacchi, soffrendolo, vivendolo fino in fondo, dandogli tutto il tempo che richiede, ma senza consentirgli di travolgerci.
Qualcuno la chiama "capacità di crescere".
E in un certo senso non si finisce mai di crescere, a qualunque età.
E' una legge ineludibile dell'esistenza dover evolvere continuamente, dover passare - a volte più in fretta, altre più lentamente - da una situazione ad un'altra, da un'età a un'altra, in un fluire continuo, in cui siamo sempre noi stessi, eppure non siamo più gli stessi.
Sempre qualcosa deve finire perché qualcosa di nuovo possa venire alla luce: ogni evoluzione è così, e c'è sempre un lutto da elaborare per ogni cosa che finisce, per ogni perdita, per ogni distacco, foss'anche il più naturale che c'è, il più canonico, il  più prevedibile, come:
- lasciare il calore del ventre materno, per venire al mondo;
- lasciare il seno che ci nutre, per alimentarci di nuovi cibi;
- lasciare le braccia che ci sostengono, per camminare in autonomia;
- lasciare il guscio protettivo della famiglia, per andare a scuola;
e via via, di tappa in tappa (dall'adolescenza, alla giovinezza, all'età adulta, alla mezza età, alla vecchiaia) procedendo lungo il cammino della vita, lasciandoci via via alle spalle le molte cose che un giorno sono state tutto il nostro mondo, e un bel giorno non lo sono più.
Una mamma una volta mi ha detto: i figli si partoriscono due volte, quando escono dal pancione e quando escono di casa.
Alludeva all'aspetto di duplice inizio e duplice distacco, che accomuna queste due tappe della vita, e non solo per il figlio (che nascendo perde la protezione del corpo materno e uscendo di casa quella del tetto familiare), ma anche per lei, la prima volta lasciata a fare i conti con il proprio corpo improvvisamente vuoto, dopo l'esperienza di pienezza della gravidanza, e la seconda con il nido familiare, coltivato e accudito per anni, eppure anch'esso improvvisamente vuoto.
Eppure la perdita del pancione, prima, e il nido vuoto, dopo,  scandiscono tappe fondamentali per poter dire,  in un arco di vita individuale e familiare, che "va tutto bene", la prima volta perché " il bambino è nato", e la seconda perché "il giovane ha cominciato la sua vita adulta".
Se un lutto c'è, in tutto questo, riguarda un'epoca che si è dovuta chiudere perché un'altra si potesse aprire. E' un lutto evolutivo, che non ha niente a che fare con la morte (a cui la parola lutto abitualmente rimanda), ma piuttosto con la vita, e con i continui cambiamenti che essa prevede.
E' un lutto che riguarda l'elaborazione dei passaggi, l'accettazione dei  distacchi perché si trovi un nuovo adattamento alla realtà che muta.
Ed è forse proprio questo che a volte è importante chiarire soprattutto a noi stessi, mentre facciamo i conti con questo tipo di lutti e la fatica che comporta elaborarli.
Nel caso delle madri, come quella citata, il rimpianto, se c'è, riguarda la fine di un'epoca, la fine di una magia destinata per sua natura a svanire allo scoccare dell'ora prevista, e non è un dolore che si possa sanare riportando il bambino nella pancia o il giovane a casa, perché questo sarebbe andare contro il corso naturale della vita, contro la spinta a crescere del figlio e contro la stessa funzione della coppia genitoriale che, per tappe e gradi, prima accoglie il nuovo nato, poi lo alleva e poi lo aiuta a costruire un trampolino di lancio per consentirgli proprio di prendere il volo.
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A seguire, citazioni sul tema.
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"Vorrei far partecipe il lettore della mia convinzione: il lutto è un processo essenziale della psiche, fondamentale nello sviluppo dell'individuo, nelle varie età della vita, nelle famiglie e nelle culture. [...]
Il lutto, come io lo intendo quando lo qualifico fondamentale o originario, non dovrebbe essere confuso con la depressione. Quella è un accesso o uno scacco, questo è un processo maturativo universale che, secondo me, si accompagna più alla vita che alla morte."
 (Paul-Claude Racamier, Il genio delle origini)
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"...dopo ogni distacco, piccolo o grande che sia, segue inevitabilmente un periodo di lutto, un periodo cioè in cui tutte le nostre energie sono assorbite dalla sofferenza per questo improvviso vuoto che si è venuto a creare nella nostra vita. E' una vera e propria reazione depressiva che, secondo Freud, differisce dalla depressione solo per una caratteristica, la mancanza di autosvalutazione [...].

Ma se tutti i cambiamenti, piccoli o grandi che siano, ripropongono il tema della crisi inevitabile che accompagna ogni passaggio, alcuni di questi passaggi nel corso del tempo, fanno vivere la crisi alla grande, per la quantità di cambiamenti che vi sono concentrati.
Non solo l'adolescenza ne è un buon esempio (tutti gli adulti che hanno a che fare con gli adolescenti lo sanno bene), ma anche la crisi della maturità, quella fra i quaranta e i cinquant'anni circa, ripropone in modo massiccio il tema del distacco. Non è tanto il passaggio alle età successive della vita, secondo Racamier, quello che ci fa soffrire, quanto il distacco definitivo dalla nostra adolescenza che non tornerà più. [...]


'Sa, [raccontava una donna] mi rendo conto che la crisi che sto attraversando ha a che fare con i miei quarantaquattro anni. I primi segnali li ho avuti quando ho cominciato a sentirmi male in macchina, mentre andavo al lavoro l'anno scorso. Solo più tardi ho scoperto che avevo a che fare con l'ansia. Ma mi rendo conto di sentire una maggiore insicurezza fisica rispetto al passato: prima mi sentivo invulnerabile o perlomeno sicura del mio corpo. Adesso è come se pensassi che invece mi possa tradire, anzi in certi momenti penso di avere qualcosa di grave, che in realtà non ho, come un tumore. Un'altra volta mi si è informicolato un braccio e pensavo di avere un infarto. Ma la massaggiatrice mi ha detto che in realtà ero tutta contratta sulle spalle. E poi, le rughe. Sembrano piccole cose, ma io ero abituata a vederle solo sugli altri, gli anziani in particolare, ma non su di me. Quando le vedo mi spavento ancora e lo stesso mi succede quando le noto nelle persone della mia età.'

Sono questi i piccoli segnali dello scorrere del tempo che in certi momenti particolari si concentrano e iniziano a segnare un distacco dall'epoca di vita precedente; e il distacco, se lo vogliamo superare, comporterà inevitabilmente un periodo di lutto e di fatica. 
Si può ingaggiare una lotta col tempo, si possono moltiplicare gli interventi estetici, la palestra, tutto ciò che può cancellare i segnali esterni dell'età, ma non si può fermare, né riportare indietro l'orologio della vita."
(Alba Marcoli, Passaggi di vita)
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