martedì 11 dicembre 2012

Prima sopravvivere, ma poi... fiorire

" Se riuscirai a mantenere vivo un ramo verde nel tuo cuore nell'ora dell'oscurità, allora il Signore verrà e manderà un uccello a cantare da quel ramo all'alba del giorno." 
(proverbio Irlandese)
Quando la vita ci mette di fronte a prove dure, difficili da superare, il solo fatto di uscirne vivi può essere considerato un successo. La nostra battaglia l'abbiamo combattuta, siamo stati colpiti e feriti, ne siamo usciti ammaccati, ma alla fine... ce l'abbiamo fatta.
Come eroi di guerra, abbiamo dato prova di forza, coraggio, resistenza, e siamo sopravvissuti. Cosa chiedere di più alla vita? E' già tanto essere ancora vivi. Possiamo andarne orgogliosi.
Fino a un certo punto questo atteggiamento può farci anche bene. Aver visto il peggio, può aiutarci a comprendere cos'è davvero per noi l'essenziale. Così abbassiamo il tiro circa le nostre pretese verso la vita e diventiamo grati del poco. Anche questa può essere saggezza, dopo tutto.
Il rischio, però, è di restare imprigionati in una mentalità da superstite, anche quando la guerra è finita da un pezzo, e sarebbe ormai giunto il momento della ricostruzione.
I limiti imposti dalle precedenti  condizioni non ci sono più, potremmo liberamente espandere le nostre forze verso una prospettiva di prosperità e invece continuiamo a procedere a basso regime.
E' ancora saggezza questa?
Ognuno si dia la risposta che crede; in fatto di saggezza, si può sostenere tutto e il contrario di tutto.
Tuttavia qui sta a cuore la nostra serenità, più che la nostra saggezza. Allora la domanda diventa: sostenere che "chi si accontenta" gode, equivale a dire che anche "chi si rassegna" gode?
C'è una differenza, in termini di gioia di vivere, tra una persona capace di essere contenta con poco (che cioè "si accontenta") ed una persona che ha perso ogni speranza in un possibile miglioramento  della propria vita?
Direi di sì.
Il danno maggiore che possono farci le avversità della vita, infatti, è quello di toglierci i sogni, le speranze, i desideri, lasciandoci intrappolati in scenari mentali limitanti, che appartengono al passato e  inibiscono il nostro sviluppo creativo nel futuro.
Si diventa come la piantina robusta che sopravvive senz'acqua ad agosto sul nostro balcone, mentre siamo in ferie, e che dimostra forza e vitalità, se riesce a buttare una fogliolina verde, nonostante tutto. 
Ma quando agosto è passato e la pianta può ricevere di nuovo acqua e cure, una sola fogliolina verde non è più segno di buona salute: ora che i tempi duri sono alle spalle, la pianta deve poter fiorire, crescere, buttare foglie e boccioli.
***

Clarissa Pinkola Estés dice che alcune donne celebrano  il proprio passaggio dal tempo della sopravvivenza a quello della fioritura con l'antico rituale delle ofrendas . 
"I riti sono uno dei modi in cui gli esseri umani mettono la loro esistenza in prospettiva - dice nel suo libro 'Donne che corrono con i lupi' - I riti richiamano le ombre e gli spettri della vita, li separano, li mettono a riposo.
C'è un'immagine particolare nelle celebrazioni del Giorno dei Morti che può aiutare le donne nella transizione dalla sopravvivenza alla fioritura. Si basa sul rito delle 'ofrendas', altari eretti a coloro che sono passati. Le 'ofrendas' sono tributi, cippi, espressioni del più profondo rispetto per le persone amate che non sono più qui. Molte donne trovano giovamento nel fare un' 'ofrenda' alle bambine che erano un tempo, come riconoscimento per l'eroica bambina. Talvolta le donne scelgono oggetti, scritti, indumenti, giocattoli e ricordi di eventi, talaltra simboli della fanciullezza. Sistemano l' 'ofrenda' a modo loro, raccontano o no la storia che l'accompagna, e poi la lasciano là, per tutto il tempo che vogliono. E' la prova delle passate avversità, del valore, e del trionfo sulle difficoltà . Questo modo di guardare il passato offre parecchi risultati: dà una prospettiva e una pietosa resa del passato, dispiegando quanto si è esperito, quanto si è fatto, quanto è ammirevole. E' l'ammirazione che libera. Comprendere il danno e commemorarlo: ciò consente di fiorire, ed è questo, non la mera sopravvivenza, il nostro diritto di primogenitura in quanto donne."