giovedì 8 novembre 2012

Imparare a dire (anche) no

«I confini dividono lo spazio;
 ma non sono pure e semplici barriere.
Sono anche interfacce tra i luoghi che separano.
In quanto tali, sono soggetti a pressioni contrapposte
e sono perciò fonti potenziali di conflitti e tensioni.»
(Zygmunt Bauman)
(nella foto una scena del film "LES BALISEURS DU DESERT", 1984, di NACER KHEMIR)

Uno dei fattori da considerare, quando ci mettiamo alla ricerca di una maggiore serenità - e più che mai se  abbiamo fama di essere tolleranti, gentili, accomodanti, disponibili, generosi -, è in che misura padroneggiamo l'arte di  tracciare confini per proteggere, accudire, sostenere tutto ciò a cui teniamo.  
Tracciare confini significa imparare a dire (prima di tutto a noi stessi): "Fin qui si può. Oltre no". 
Significa cioè riconoscere i nostri  bisogni, i nostri diritti, le nostre preferenze, e fino a che punto siamo disposti a sacrificarli per convivere pacificamente con il resto del mondo, comprese le persone che amiamo.
Significa imparare a dire: "Questo mi piace, questo mi piace poco ma sono disposto a tollerarlo, questo non mi piace per niente e non sono assolutamente disposto a tollerarlo." 
Tracciare confini può risultare doloroso, a volte, perché può generare momenti di tensione, può portare ad alzare la voce, provocare incomprensioni, controversie, lacrime e sentimenti feriti. 
La prospettiva è così poco allettante che alcune persone preferiscono non imbarcarcisi proprio, in una simile avventura; e così, incapaci di dar voce ai propri bisogni, tacciono e ingoiano la  loro rabbia inespressa.
Ciò è tipico, per esempio, di alcune persone con uno stile comunicativo e relazionale particolarmente remissivo. Queste tendono ad anteporre le esigenze altrui alle proprie, considerano le proprie esigenze poco importanti (se non addirittura se stesse meno importanti degli altri!) ed accettano tutta una serie di decisioni altrui, che non le soddisfano, per mero amor di pace. Inutile dire che, alla lunga, le persone remissive rischiano di soffrire parecchio per via delle proprie esigenze trascurate, e potranno provare rabbia, risentimento, umore depresso, scarsa autostima e  malesseri fisici vari. Queste stesse persone peraltro, a furia di reprimere frustrazione e risentimento, ogni tanto possono esplodere in improvvise manifestazioni di esagerata aggressività, adottando uno stile diametralmente opposto a quello abituale, ma anch'esso abbastanza disfunzionale.
Lo stile aggressivo, infatti, è quello tipico delle persone che difendono i propri diritti in maniera prepotente ed eccessiva, senza preoccuparsi di urtare i sentimenti altrui  e a volte anche violando i diritti degli altri. 
E certo non è nemmeno questo lo stile più auspicabile per la tutela dei propri bisogni!
Da manuale, lo stile più funzionale risulta essere quello definito "assertivo".
Essere assertivi significa essere al tempo stesso consapevoli sia dei diritti propri sia dei diritti (e sentimenti) altrui, avere il senso del dare e dell'avere, riuscire ad affrontare le situazioni di potenziale conflitto attraverso forme equilibrate di compromesso o cooperazione, e quindi anche comportarsi in maniera diversa a seconda delle situazioni: cedere quando è il momento di cedere, essere fermi quando è il momento di essere fermi.
Esistono varie tecniche tese a favorire un modo di relazionarsi e comunicare con gli altri di tipo più assertivo.
Si possono imparare, mettere in pratica, richiamarle alla mente ogni volta che la tendenza all'eccessiva remissività (o anche aggressività!)  tende a riaffacciarsi e a... guastarci la festa. 
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«Prima di costruire un muro volevo sapere
cosa stavo includendo e cosa stavo escludendo»
(Robert Frost)
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In un post dedicato all'importanza dei confini, un po' di spazio va dedicato alla parola "no", per l'elementare  evidenza che, se diciamo sempre di sì ad ogni richiesta del mondo, non cominceremo mai ad erigere confini.
« 'No' può essere una bella parola, né più né meno di 'sì'», sostengono John Robbins e Ann Mortifee. «Ogniqualvolta neghiamo il nostro bisogno di dire no, il nostro amor proprio diminuisce», dicono nel loro libro "In Search of Balance: Discovering Harmony in a Changing World" (Alla ricerca dell'equilibrio: Scoprire l'armonia in un mondo che cambia).  «In certi momenti, dire di no  non è soltanto un nostro diritto; è la nostra più profonda responsabilità. Perché dire di no a quelle vecchie abitudini che dissipano la nostra energia, no a ciò che ci ruba la nostra gioia interiore, no a ciò che ci distrae dal nostro obiettivo è un dono che facciamo a noi stessi.  ... Dire di no può essere liberatorio, quando esprime il nostro impegno a combattere per ciò di cui crediamo di avere bisogno veramente.»