lunedì 12 novembre 2012

Affrontare le crisi connesse alle svolte e ai cambiamenti della vita

Ognuno di noi, nel corso della  propria vita, affronta prima o poi svolte e cambiamenti esistenziali piccoli o grandi, cioè momenti di passaggio dallo scenario usuale del nostro vivere fino a quel momento, ad uno scenario nuovo e sconosciuto.
In questi casi, a volte persino quando si tratta di cambiamenti voluti, il nostro equilibrio mentale, costruito sulla situazione precedente, può subire uno scossone; si può provare un senso di spaesamento connesso alla fatica di ri-orientarsi, prima di trovare un equilibrio nuovo più adatto alle mutate circostanze. 
Purtroppo questo equilibrio nuovo non è qualcosa che si trovi a comando:  va piuttosto trovato un po' alla volta, per tentativi ed errori; va costruito nella vita di ogni giorno, passo per passo, attraverso i piccoli atti quotidiani.
Ciò può comportare che per un periodo si proceda un po' "al buio", senza un preciso equilibrio che ci accompagni; e questa cosa può fare anche un po' paura, giacché spesso non siamo in grado di prevedere,  in base alle nostre precedenti esperienze, come andrà ad evolvere questa situazione che per noi è tutta nuova.
Una crisi - come molte altre cosa della vita - ha un suo inizio, una sua evoluzione e anche una sua fine.
La fine può essere positiva, se ha uno sbocco evolutivo, se conduce cioè ad un equilibrio nuovo in una tappa successiva di un processo di sviluppo; in tal caso la crisi, superata con successo,  è stata vissuta come occasione di crescita: se ne esce più maturi, più forti, arricchiti d'esperienza e consapevolezza.
Altre volte questo non succede, e la crisi può portare ad esiti negativi, fino a sfociare  addirittura in patologia (cosa paradossalmente più frequente soprattutto nelle crisi mancate, cioè non affrontate quando era il momento).
Le crisi non sono connesse solo agli eventi eccezionali e imprevedibili dell'esistenza (come terremoti, incidenti, fallimenti, separazioni, eccetera), ma anche alle tappe più o meno canoniche e prevedibili del ciclo di vita individuale e familiare.
Il passaggio dall'infanzia all'adolescenza, dall'adolescenza alla maturità e poi alla mezza età e alla vecchiaia; un trasloco, un matrimonio, la nascita di un figlio, l'uscita di casa dei figli ormai cresciuti; i cambiamenti di città, di scuola, di lavoro;  il pensionamento, la morte di una persona cara (che, secondo i casi, può rientrare o meno nelle attese canoniche della temporalità),  e così via, sono tutti momenti in cui ci troviamo di fronte a un passaggio del vivere, che implica  innanzitutto una perdita di cui bisogna fare il lutto.
La sfida è ogni volta quella di perdersi per poi ritrovarsi: un processo di morte e di rinascita, che può diventare anche una grande occasione di crescita.
A volte è proprio una crisi che può portarci a scoprire dentro di noi risorse inaspettate, rimaste fino a quel momento latenti.

"Senza il passaggio e la cerniera delle crisi", dice Alba Marcoli, nel suo bel libro 'Passaggi di vita', "faremmo probabilmente molta più fatica o ci sarebbe addirittura impossibile aprire le porte successive del nostro cammino, così come senza la cerniera del gomito e delle ginocchia non riusciremmo a fare tutto ciò che facciamo con le nostre braccia e le nostre gambe. Allora è forse proprio il nostro diventare presbiti dopo i quarant'anni che sancisce il fatto, malinconico, che non siamo più adolescenti, ma allo stesso tempo ci prepara a entrare nella pienezza della maturità e a goderne i frutti reali, invece di continuare a camminare nella vita voltati indietro verso un'età che non c'è più. E sarà proprio l'entrare nella maturità e il riconoscere che certe cose, come i vent'anni, non ci saranno più, ciò che ci permetterà forse di scoprire i lati della nostra infanzia o adolescenza che invece possiamo e vogliamo portare avanti nel tempo perché li sentiamo appartenenti alla nostra vicenda umana.
Un po' come succede nell'elaborazione del lutto per la perdita di una persona cara: una volta attraversato  il lungo periodo necessario a vivere  tutto il dolore e la rabbia per la sua assenza, a poco a poco il suo ricordo da vivo comincerà a ritornare e a far compagnia nella mente e nel cuore.
Come osserva Racamier, è probabile che l'uscita evolutiva dalla crisi sia rappresentata dalla capacità di tollerare una certa 'ambiguità': quella di essere contemporaneamente tristi per la perdita di una persona amata o di un periodo della vita o di qualcos'altro che ci era caro, ma anche contenti del loro ricordo buono dentro di noi, che ci accompagna per il resto dei nostri giorni, perché quella vicenda ci è appartenuta e nessuno la può cancellare.".


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