lunedì 26 settembre 2016

L’isola del sé. Un pensiero di Thich Nhat Hanh


Quando il Buddha aveva ottant’anni e sapeva che non sarebbe vissuto più a lungo, offrì ai suoi studenti la pratica “dell’isola del sé”. Disse che in noi stessi c’è un’isola sicura alla quale si può tornare ogni volta che ci si sente spaventati, instabili o disperati. Torna a casa all'”isola del sé” che hai dentro, prendi rifugio in quell’isola e sarai al sicuro. L’isola del sé dista solo un respiro. Con la pratica della consapevolezza del respiro o del passo possiamo tornare immediatamente a casa nella nostra isola.
Prima di trasferirmi a Plum Village abitavo in un eremo a circa un’ora di macchina da Parigi. Un giorno lasciai l’eremo per andare a fare una passeggiata. Era una mattinata bellissima così prima di uscire aprii tutte le finestre e le porte, ma verso le quattro del pomeriggio il tempo cambiò: si alzò il vento, le nuvole coprirono il sole e si mise a piovere. Sapevo che sarebbe stato meglio andare a casa e così tornai all’eremo camminando in presenza mentale. Una volta arrivato trovai il mio piccolo eremo in pessimo stato: dentro faceva buio e freddo, era deprimente; non era più un luogo piacevole in cui stare. Ma sapevo che cosa dovevo fare. La prima cosa fu chiudere tutte le porte e le finestre; la seconda fu accendere il fuoco nella stufa a legna. Dopo accesi una lampada a kerosene e poi andai a raccogliere tutti i fogli di carta che il vento aveva sparpagliato per tutto l’eremo. Dopo aver raccolto e rimesso tutto al suo posto, mi sedetti vicino al camino e mi scaldai al fuoco. A quel punto l’eremo era di nuovo tornato un luogo intimo e piacevole in cui stare. Lì ero al sicuro e a mio agio.
Questa immagine può illustrare che cosa fare quando ci sentiamo depressi o turbati nella vita quotidiana. Ci sforziamo molto ma più ci sforziamo, peggio ci sentiamo. Diciamo: “Non è proprio la mia giornata”. Ci sembra di fallire in ogni cosa che tentiamo di fare; cerchiamo di dire o fare qualcosa per migliorare la situazione ma non funziona. Quello è il momento per tornare al nostro eremo e chiudere tutte le porte e le finestre. Torna “a casa” a te stesso tramite il respiro consapevole e riconosci le sensazioni che hai dentro. Forse in te ci sono sensazioni di rabbia, di paura, di ansia o disperazione; qualunque sensazione ci sia, riconoscila e abbracciala con grande tenerezza.
Quando una madre sente piangere il suo bambino smette di fare quel che sta facendo, qualunque cosa sia, e va subito dal bambino. Per prima cosa lo solleva e lo tiene teneramente fra le braccia. Nel bambino c’è l’energia della sofferenza e nella madre c’è l’energia della tenerezza, che comincia a passare nel corpo del bambino. Analogamente, la paura che provi è il tuo bambino. La rabbia che provi è il tuo bambino; la disperazione che provi è il tuo bambino. Il tuo bambino ha bisogno che tu vada a casa e te ne prendi cura. Va’ subito a casa, nel tuo eremo, nell’isola del sé, e prenditi cura del tuo bambino.
L’energia della presenza mentale è la madre; con quell’energia puoi tenere fra le braccia il tuo bambino. La presenza mentale è un’energia che sei in grado di generare: è la capacità di essere consapevoli di ciò che succede; è il calore che puoi produrre facendo un fuoco. Il fuoco e il calore trasformeranno il freddo e lo squallore del tuo eremo. Quel bambino sei tu; non dovresti cercare di sopprimere le emozioni forti o le sensazioni negative che provi. Tu sei la tua paura, la tua rabbia: non combatterle. Non lottare contro la tua rabbia, la tua paura, la tua disperazione; con la presenza mentale puoi abbracciare quei sentimenti. Se continui a respirare in consapevolezza potrai generare l’energia della presenza mentale che abbraccerà e calmerà i sentimenti difficili come una madre abbraccia teneramente il suo bambino che piange e lo calma.

Da: Thich Nhat Hanh, L’arte di lavorare in consapevolezza. Come vivere con gioia e presenza mentale ogni momento della giornata, Terra Nuova Edizioni, 2014.