giovedì 22 novembre 2012

Cura di sé e cura degli altri: il delicato equilibrio tra autorealizzazione e altruismo

Una lettrice, dopo aver letto il post sull'uomo che piantava gli alberi, ha commentato:

"Ciascuno di noi nel suo piccolo può fare qualcosa di significativo e determinante... piccole cose apparentemente insignificanti che possono rendere il mondo migliore... ed io, che potrei fare?".

Questa domanda ("io che potrei fare?") 
mi dà lo spunto per una riflessione
 sul rapporto esistente tra
 "l'aver cura di sé" e "l'aver cura degli altri".

Nelle nostre dieci regole della serenità è dato molto spazio alla cura di sé propriamente intesa (curare il proprio corpo, curare il proprio spirito, e altre cose così). 
Poi si arriva alla settima regola e si legge: "coltivare relazioni umane significative", cosa che implica un donarsi agli altri, un prendersi cura d'altri, un superamento apparente della cura di sé che al tempo stesso arricchisce di significato anche lo stesso sé.
In effetti è come se esistesse una specie di circolo virtuoso che parte dalla cura di sé e giunge alla cura degli altri, la quale diventa poi, a sua volta, un'altra tappa essenziale della cura di sé.
Volendo procedere per gradi, si potrebbe dire così:
se ognuno di noi fosse una persona migliore, il mondo intero sarebbe migliore; se ognuno di noi si sentisse un po' meglio, tutto il mondo si sentirebbe un po' meglio. Quindi, se vuoi rendere un buon servizio a questo  mondo, abbi innanzitutto cura di te; se vuoi un mondo migliore, comincia a migliorare te stesso.
Però non è questa la risposta che volevo dare alla lettrice.
E' un'altra. E sta in quello che ho chiamato il "circolo virtuoso".
La  cura di noi stessi e l'attenzione ai nostri bisogni, che qui vengono caldamente consigliate,  non vanno intese tout-court come espressioni di (un anche sano) egoismo, perché possono ben essere declinate  in un'ottica di generale vantaggio. 
Dopo tutto anche Elzéard Bouffier piantava gli alberi perché di base gli faceva piacere farlo e gli faceva anche bene farlo. La sua attività solitaria giovava contemporaneamente all'intera regione, ai suoi abitanti e a sé stesso che, con quella trovata,  ridava un senso positivo alla sua vita spezzata. 
Tutto ciò tira in ballo il concetto di autorealizzazione (così caro a noi life coach umanistici) e la conseguente domanda: è etico dare molto spazio alla propria autorealizzazione quando il mondo va a rotoli e tanta gente ha bisogno di aiuto?
La risposta può essere benissimo sì; infatti  l'autorealizzazione può essere un processo altamente etico, nel momento in cui è capace di attuare simultaneamente il bene proprio e quello altrui.
E' ciò che sosterrò a conclusione di questo post.
Ma poiché non posso andare avanti col dubbio che chi legge non sappia cosa si intende qui per autorealizzazione, apro una parentesi su questo concetto.
Saltate il prossimo paragrafo, voi che sapete... (lo scrivo in verde, così non si sbaglia!)
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Il concetto di "autorealizzazione" parte dall'assunto che ci sia qualcosa dentro di noi che è potenzialità dell'essere, e che spinge per venire fuori (come l'acqua spinge per uscire da una sorgente) affinché il nostro vero sé possa venire alla luce, svilupparsi in pienezza e dare i suoi doni al mondo.
Nel corso della nostra vita, le nostre potenzialità  a volte trovano effettivamente (in misura maggiore o minore) sbocco ed espressione, e altre volte invece restano (in misura maggiore o minore) inespresse.
Il senso di appagamento che si trae dall'attualizzare le proprie potenzialità e, viceversa, il senso di insoddisfazione e frustrazione che viene dal non poterle esprimere, è esperienza nota a molti.
Sul punto si sono pronunciati ampiamente vari autori, ed in particolar modo Abraham Maslow (che pone l'autorealizzazione in vetta alla sua piramide dei bisogni umani) ed Erich Fromm.
"La nascita", sostiene Erich Fromm (nel suo libro 'Dalla parte dell'uomo'), "non è che un passo particolare entro un continuum che comincia con il concepimento e termina con la morte. Tutto ciò che giace tra questi due poli è un processo, consistente nel dare alla luce le proprie potenzialità, e nel portare alla vita tutto ciò che è potenzialmente dato nelle due cellule germinali. Ma mentre la crescita fisica procede di per se stessa, purché siano fornite le adatte condizioni, il processo della nascita sul piano mentale, all'opposto, non si verifica automaticamente. Esige l'attività produttiva, che dia vita alle potenzialità emotive e intellettuali dell'uomo, che dia vita al suo 'sé'." 
Abraham Maslow dice a sua volta (nel suo libro 'Motivazione e Personalità'), che, per quanto ogni altra esigenza possa essere stata soddisfatta (bisogni fisiologici, bisogni di sicurezza, bisogni sociali e di appartenenza, bisogni di stima), possiamo spesso aspettarci che presto si svilupperà un nuovo stato di scontentezza e di irrequietezza, se l’individuo non sarà occupato a fare ciò che egli, individualmente, è adatto a fare. Un musico deve fare musica, un pittore deve dipingere, un poeta deve scrivere per poter essere definitivamente in pace con se stesso. Ciò che uno può essere, deve esserlo. Egli deve essere come la sua natura lo vuole. Questo è il bisogno che possiamo chiamare di autorealizzazione. 
Questo termine ... si riferisce al desiderio dell'uomo di autocompimento, cioè alla tendenza che egli ha  ad attualizzare ciò che è potenziale. Questa tendenza può essere indicata come il desiderio a divenire sempre più ciò che idiosincraticamente si è, a divenire tutto ciò che si è capace di diventare.
La forma specifica che questi bisogni assumeranno varia ovviamente molto da persona a persona. In un individuo possono assumere la forma del desiderio di essere una madre ideale, in un altro possono esprimersi atleticamente, in un altro nel fare quadri o invenzioni. A questo livello ci sono grandi differenze individuali."

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Chiusa parentesi sul concetto di autorealizzazione.
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Per rispondere finalmente alla domanda della lettrice, io evidenzierei un fatto molto importante, e cioè che la cosa più bella del processo di autorealizzazione è trovare un punto di incontro tra domanda e offerta, e cioè tra ciò che noi  abbiamo da offrire al mondo (e che ci dà gioia offrirgli) e ciò che il mondo richiede, perché ne ha bisogno.
Quando le due cose si incontrano, si attua simultaneamente il bene di chi dà e di chi riceve, ed è un successo condiviso, un'iniezione potente di significato esistenziale.
E' la gioia del musicista che suona condivisa con il pubblico che ascolta, del vero medico che cura e del suo paziente che si fa curare, di una mamma felice di  recitare una vecchia filastrocca al suo bambino e del suo bambino che ride nell'ascoltarla, di un giardiniere che coltiva volentieri  il suo giardino e delle sue piante che crescono rigogliose rispondendo alle sue cure.
Allora, se mi chiedi: "Io che potrei fare per rendere il mondo migliore?" ti potrei rispondere mille cose, ma la mia risposta preferita resta sempre: "Porta alla luce i tuoi doni e fanne omaggio al mondo", che sarebbe a dire  "Compi la tua autorealizzazione e fanne un atto di altruismo".
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Questa peraltro è la conclusione a cui giunge lo stesso Maslow, quando osserva che i soggetti autorealizzati "hanno verso gli esseri umani in generale un profondo sentimento di identificazione, di simpatia e di affetto, nonostante i momenti occasionali di ira, di impazienza o di disgusto… A causa di tale sentimento di comunione, essi hanno un genuino desiderio di aiutare la specie umana. È come se fossero membri di una sola grande famiglia… Le persone che si autorealizzano hanno relazioni interpersonali più profonde di ogni altro adulto. Esse sono capaci di maggiore fusione, di maggiore amore, di identificazione più perfetta, di una maggiore riduzione delle barriere dell'ego di quanto la ritengano possibile le altre persone… In un senso molto reale e molto speciale si può dire che amano o piuttosto compatiscono tutta l'umanità".
In queste persone, commenta Lodovico Prola (Cenni sulla teoria psicologica di Abraham Maslow, in Buddismo e Società n.99/2003) "molti dualismi e dicotomie sono superati, le polarità scompaiono e molte opposizioni, ritenute fondamentali, sono sostituite da unità. Ad esempio le vecchie opposizioni tra cuore e mente, fra ragione e istinto scompaiono nelle persone autorealizzate. Non è possibile contrapporre egoismo e disinteresse perché per principio ogni atto è insieme egoistico e altruistico. Né si può opporre il dovere al piacere, né il lavoro al gioco quando il dovere è piacere e il lavoro è gioco."
Con lo stesso spirito Maslow parla del diventare un "servo", pur insistendo sull'importanza del realizzarsi: "Il miglior modo per diventare un miglior servitore degli altri è diventare persone migliori dentro. Ma per diventarlo è necessario servire gli altri. E' dunque possibile, anzi doveroso, fare le due cose simultaneamente".
 

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Per cui attenzione a non confondere le opere di bene con i sacrifici.
Se sacrificherete voi stessi per fare il bene di qualcuno, potreste non ottenere in cambio la gratitudine che vi aspettate, perché in luogo del seme della gratitudine potreste aver gettato quello del debito morale o del senso di colpa, capaci di avvelenare anche il bene ricevuto e rendere amari, per chi li riceve, i frutti della vostra opera.
Se invece potrete offrire in dono agli altri ciò che siete felici di donare, perché per voi stessi costituisce  autorealizzazione, seminerete gioia e benedizione intorno a voi, e sarete grati voi per primi a chi apprezza e  accoglie volentieri quegli stessi doni, che consentono a voi di esprimervi.
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Concludendo, ecco ciò che rispondo a chi mi chiede cosa può fare per migliorare il mondo: dona ciò che ti viene meglio e che, mentre lo fai, ti rende felice.
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