sabato 22 settembre 2012

Perdonare per sentirsi bene

"Perdona gli altri,
 non perché essi meritano il perdono,
 ma perché tu meriti la pace."
 (Buddha)

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Ieri una donna mi ha detto: "Non sono io, a non essere serena: sono gli altri che mi fanno arrabbiare!". Ed effettivamente sembrava un po' arrabbiata pure mentre lo diceva. Ma arrabbiata di che, in quel momento, visto che - in quel preciso momento -  nessuno le stava facendo niente?
Il ricordo delle offese e delle prepotenze subite, e tutti i pensieri occasionati da quei ricordi, non facevano che generare nuova rabbia, nuovo dolore, nuovo rancore, che avvelenavano anche il presente, ammorbando,  anche l'aria buona di un momento tranquillo. 
Questo mi dà lo spunto per proporre oggi la rivisitazione di un vecchio argomento, quello del  perdono, abbastanza noto a tante persone anche perché presente, pur con diverse sfumature, in varie fedi religiose.
Non intendo però parlare qui del perdono in quanto atteggiamento nobile o auspicabile secondo parametri religiosi o morali. 
L'importanza del perdono, per i nostri fini, non sta nel fatto che può renderci più buoni o più santi, ma  sta piuttosto nel fatto che porta ad un alleggerimento:  ci libera da un peso dell'anima, da un sentire negativo, da una forma di afflizione che può continuare a seguirci anche dopo molto tempo che l'offesa ai nostri danni è stata perpetrata.
In che modo il perdono può giovare a chi lo elargisce,  a prescindere da qualunque discorso religioso?
Tanto per cominciare bisogna togliersi dalla testa l'idea che il perdono sia qualcosa che facciamo per il bene di un altro, un regalo che facciamo a chi ci ha offeso. Al contrario! Dobbiamo considerare il perdono un regalo che facciamo a noi stessi:  un modo per liberarci dal rancore e  per spezzare così un vincolo che ci tiene legati  a doppio filo  proprio alla persona che ci ha offeso. Fino a che non l'avremo perdonata, questa persona continuerà a farci del male, perché noi ce la porteremo dentro, con tutto un bagaglio di negatività che ci avvelena l'esistenza e che si aggiunge al danno che abbiamo già subito con l'offesa in sé.
In secondo luogo, dobbiamo renderci conto che perdonare non equivale a rinunciare ad ottenere giustizia. Spesso si confonde il perdono con l'indulgenza. Perdonare non implica che chi ci ha offeso non debba essere ritenuto responsabile del suo agire immorale, disonesto o illegale. Se l'offesa che ci è stata arrecata è risarcibile o è sanzionata in qualche modo dalla legge, è giusto e sano pretendere il risarcimento  materiale e morale che ci spetta. Se abbiamo ragione, è giusto che questa ragione ci venga riconosciuta. Per quale motivo mortificarci (al di là di nostre eventuali segrete aspirazioni di santità tramite il martirio)? Perdonare è un altro discorso: significa andare avanti con "la causa" e intanto lavorare per far andare via il dolore, la rabbia, il rancore; significa cioè trovare un modo per spezzare il vincolo emotivo che ci lega alla controparte, e che, finché permane, ci rende perdenti anche in caso di... sentenza favorevole. 
E che rispondere a quelli che dicono: "Io perdono solo chi se lo merita"?
Semplicemente che è controproducente aspettare, per perdonare, che l'altro "meriti" il nostro perdono, che cioè "faccia qualcosa" per meritarlo. In questo modo, infatti, continuiamo a dare all'altro il controllo sulla nostra vita, mentre il perdono è una scelta che facciamo noi, solo per noi e per il nostro bene.
Messo così, questo perdono potrebbe avere un po' l'aria di un "atto egoistico". Non lo so, forse lo è. Ma ciò non significa che sia negativo! E' anzi un atto di egoismo positivo, se così si può dire: uno dei gesti più amorevoli e positivi che possiamo fare verso noi stessi.
Che poi da questo perdono derivi anche, indirettamente, un miglioramento nei rapporti con gli altri, è  possibile, certo, ma non è l'aspetto essenziale dell'esperienza. Infatti si possono ottenere benefici dal perdonare, anche senza che la persona perdonata sappia di... essere stata perdonata. Può trattarsi  di persone che non sono più in vita, o che sono irraggiungibili per altri motivi.
L'importante non è che loro sappiano che le abbiamo perdonate, ma che noi sappiamo di esserci liberati dalla rabbia e dal rancore che provavamo verso di loro, che ci opprimevano, che ci pesavano, e che ora non ci opprimono e non ci pesano più. 
Perché è proprio questo che fa il perdono. Ci libera da un grosso carico di negatività e consente a nuove energie di fluire nella nostra vita, alleggerendola di inutile zavorra e rendendola più positiva e serena.
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Il discorso sul perdono, in quanto via di promozione della serenità e del benessere, non si esaurisce certamente qui. Ci sarebbe ancora moltissimo da dire, a riguardo.
Chiunque si metterà alla ricerca di informazioni e teorie sull'argomento, troverà molto materiale, un po' per tutti i gusti. E' anche per questo motivo che mi fermo qui, nel rispetto del patto iniziale, per cui, anche se la nostra meta è unica, ognuno di noi la raggiungerà nel modo che gli è più congeniale.
Tra gli argomenti che non trovano spazio su questa pagina, alcuni hanno premuto fino all'ultimo, per cercare di entrare. Ho detto no, ma almeno li cito.
Resta aperto l'argomento non secondario di "come si faccia" a perdonare. A riguardo la varietà delle proposte è davvero molto ampia; chi è interessato e davvero motivato si metterà alla ricerca degli strumenti e delle tecniche più adatte al suo caso, e prima o poi troverà quella giusta per lui.
Restano infine aperti altre due temi importanti: il perdono di se stessi (riuscire a perdonarsi) e il desiderio (a volte disperante) di essere perdonati da qualcuno (importanza attribuita all'essere perdonati). E avremo modo di parlare anche di questo, una volta o l'altra.
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Forse ho tirato fuori troppa roba per una sola donna che ieri mi ha detto: "Non sono io, a non essere serena: sono gli altri che mi fanno arrabbiare!" 
Ma ormai a questo punto che vi posso dire? 
Perdonatemi... 
 ;-) 
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Vedi anche: Come fare per perdonare? Le quattro fasi del perdono secondo Clarissa Pinkola Estés