venerdì 14 settembre 2012

Influire sulla qualità delle proprie giornate. Il Brontolatoio.


Se siete di quelli che la mattina si svegliano pensando: "Oh, che bello, comincia una nuova sorprendente giornata tutta da vivere", risparmiatevi la lettura di questo post e tanti complimenti.
Se invece appartenete al gruppo di tutti gli altri, allora provate a far caso alle prime cose che vi passano di solito per la mente la mattina, appena aprite gli occhi. Anzi, ancora meglio: scrivetele su un quaderno, un quaderno apposito (il mio l'ho chiamato "il Brontolatoio", ma per esempio la mia amica Julia, che è una donna di classe, chiama il suo "le Pagine del Mattino").  Non c'è tempo di mettersi a scrivere, la mattina appena svegli? Bene. Allora scrivete questo: "ore 7.00 - non c'è tempo di scrivere. Ci vediamo alle ore...", e cercate di mantenere questo appuntamento quotidiano. Dedicatevi una pausa di solitudine, durante la giornata, e scrivete  di getto su questo quaderno qualunque cosa occupi spazio nella vostra mente e vi appaia, come dire, un tantino ingombrante, pesante, non esattamente edificante.
Il Brontolatoio non è un diario personale e nemmeno il romanzo della vostra vita. Non dovete sforzarvi di scrivere cose interessanti, intelligenti o artistiche. Consideratelo piuttosto uno dei tanti contenitori della raccolta differenziata rifiuti. Buttateci dentro i vostri rifiuti mentali e fatelo tutti i giorni, per due-tre pagine al giorno, come una funzione necessaria: necessaria allo stesso modo del rito di portare giù i sacchetti della spazzatura di casa. Provate a immaginare come sarebbe la vostra vita se il sacchetto dei vostri rifiuti organici, anziché stare sotto al lavello o sul balcone della cucina, stesse sempre con voi, sopra alla vostra testa e, bello pieno pieno, vi facesse compagnia per tutta la giornata! Il fatto che i nostri rifiuti mentali non abbiano una consistenza materiale, una vera e propria massa, non significa che non abbiano un loro peso sulla nostra testa (e direi anche un loro "colore" se non addirittura un loro "odore"): la loro presenza può incidere sensibilmente sulla qualità percepita delle nostre giornate.
Mettere nel Brontolatoio questi pensieri, significa collocare i nostri rifiuti mentali in un luogo appropriato: in un cestino della raccolta differenziata collocato altrove rispetto alla nostra testa.
Quest'attività non  risolve nell'immediato anche il problema dello "smaltimento" di questi rifiuti.  Proprio come avviene per i rifiuti materiali, il discorso dello  smaltimento è uno step successivo rispetto a quello della raccolta! Cominciamo da questa, e poi vedremo il da farsi.
Se dedicherete quotidianamente  un pochino del vostro tempo alla pratica del Brontolatoio, un po' alla volta vi accorgerete dei suoi effetti benefici, che però non sono né immediati né appariscenti: sono anzi differiti e diffusi.
Voi provate a praticare questa attività per qualche settimana e stabilite da voi che effetto vi fa e se cambia qualcosa, un po' alla volta, nella qualità percepita delle vostre giornate (la qualità percepita non riguarda gli eventi che vivete, riguarda piuttosto il vostro modo di viverli, quello che provate, quello che pensate, come reagite ad essi).
C'è chi dice che mettere nero su bianco i propri pensieri aiuta a metterli in ordine; c'è chi riferisce che a furia di lamentarsi sempre delle stesse cose tutti i giorni, alla fine si prende atto che è il momento di affrontare di petto certe situazioni rimaste in sospeso;  c'è chi trova finalmente le parole per ammettere almeno con se stesso sentimenti ed emozioni difficili da accettare apertamente; e c'è chi semplicemente sfoga sul quaderno la propria dose di negatività quotidiana ed evita così di scaricarla sulla prima persona che incontra, sul partner, sui figli, sui colleghi, sui clienti, migliorando così la qualità delle proprie relazioni.
Tempo fa mi è stato raccontato di una specie di supermanager in giacca e cravatta, che fu visto uscire di corsa da un bar perché era scattato l'allarme antifurto della sua spider fiammeggiante parcheggiata là fuori. Due scugnizzielli napoletani erano montati a bordo e stavano giocando ai padroni della macchina. Non l'avevano forzata, né avevano tentato di rubarla. Si erano solo seduti dentro: uno al posto di guida, le mani sul volante, e l'altro accanto, probabilmente a sognare la velocità, il vento nei capelli, gli sguardi delle donne. Una violazione di proprietà sì, ma in un certo senso rispettosa. Un gioco da ragazzi, un modo sui generis di rendere onore a un giocattolo così bello e irraggiungibile. Il supermanager si fece afferrare per pazzo, si mise a strillare, tirò fuori dalla macchina i ragazzini e cominciò a strattonarli, a insultarli, a prendersela con loro, con le loro madri, con Napoli, con i terroni tutti, finanche col Vesuvio che aveva smesso di lavorare invece di fare pulizia di tanta inciviltà. Poi prese fiato e salì in macchina per andarsene. Il suo l'aveva fatto, tutto quello che doveva dire l'aveva detto e, chissà, magari si era pure pentito di aver perso le staffe a quel modo. Fece manovra davanti al piccolo pubblico che aveva assistito alla scena e allontanandosi sentì i ragazzini gridargli dietro in napoletano una domanda molto personale accompagnata dalle risate della gente.
I ragazzini gli mandavano a chiedere, in maniera colorita e irriverente, se avesse evacuato regolarmente quella mattina.
Ecco.
Io mi ricordo della domanda dei due scugnizzielli, ogni volta che vedo qualcuno reagire in maniera esagerata a un piccolo inconveniente della vita. Mi chiedo: "Cosa sta evacuando, questa persona, qui e ora? Quanta rabbia preesistente, quante frustrazioni accumulate, quanta negatività allo stato libero che non ha trovato uno sbocco migliore?".